a cura del Dott. Ernesto Burgio
Medico esperto di epigenetica, membro del consiglio scientifico di ECERI European Cancer and Environment Research Institute – Bruxelles
Il panorama epidemiologico è radicalmente mutato, negli ultimi decenni, in tutto il mondo. Alla drammatica riduzione delle patologie acute ha fatto seguito un altrettanto rilevante incremento di patologie cronico-degenerative, infiammatorie, neoplastiche: malattie endocrino-metaboliche (“pandemia” di obesità e diabesità) (Mokdad AH et al. 2003); disturbi del neurosviluppo (Fombonne E. 2009) (con particolare riferimento ai disturbi di spettro autistico) (Tchaconas A. et al 2013) e malattie neurodegenerative (Brookmeyer R et al 2007); patologie immuno-mediate (allergie, malattie autoimmuni) (Bach JF 2002); anomalie della sfera genitale e riproduttiva (Bay K, 2006); cancro, soprattutto infantile (Kaatsch P, 2006).
All’incremento quantitativo generale delle patologie si associa il dato, particolarmente inquietante, della progressiva anticipazione dell’età d’insorgenza di molte delle suddette patologie.
In tale scenario sembra sempre più necessario un nuovo modello interpretativo nel quale si vengano a meglio definire le complesse relazioni tra le “informazioni” sempre nuove provenienti dall’ambiente e quelle contenute da milioni di anni nel genoma umano e gli effetti che questo “dialogo molecolare” sembra poter avere sulle trasformazioni del fenotipo umano (tanto in ambito fisiologico, che patologico).
Una transizione epidemiologica così drammatica, che sembra rapidamente e inesorabilmente “globalizzarsi” dal Nord verso il Sud del pianeta, era infatti del tutto inattesa e di difficile interpretazione sulla base dei modelli epidemiologici ed eziopatogenetici tradizionali (Burgio E. 2015).
Né la genetica medica tradizionale; né le considerazioni concernenti le mutate abitudini alimentari e gli stili di vita; né le teorie più accreditate messe in campo per spiegare l’incremento di specifiche patologie sono sufficienti a spiegare l’intero quadro.
L’ontogenesi embrio-fetale rappresenta la fase della vita di gran lunga più sensibile alle informazioni provenienti dall’ambiente e in particolare allo stress materno-fetale, agli errori nutrizionali, agli agenti inquinanti, proprio in quanto le cellule in via di differenziazione sono estremamente plastiche: sono infatti le diverse marcature epigenetiche a comporre il programma-base per la costruzione del nostro fenotipo individuale.
Con il binomio fetal programming ci si riferisce alla capacità e necessità delle cellule embrio-fetali di definire il proprio assetto epigenetico in risposta alle informazioni provenienti dalla madre e, attraverso di essa, dal mondo esterno. Il programma (epi)genetico individuale definitivo si forma quindi nei nove mesi dell’ontogenesi embrio-fetale, in base alle informazioni provenienti dall’ambiente e, come suaccennato, in modo adattivo e predittivo.
Questo ha portato alla formulazione di un modello patogenetico di base (ormai convalidato da centinaia di studi sia sperimentali, sia epidemiologici) in grado di fornire un quadro di riferimento generale alla transizione epidemiologica in atto: la teoria delle origini embrio-fetali delle malattie croniche degli adulti (DOHaD – Origini dello sviluppo della salute e della malattia) spiega come, nella primissima fase della vita (in particolare nel corso dell’ontogenesi embrio-fetale: la fase dei principali processi di differenziazione cellulare e programmazione tissutale e sistemica) le informazioni provenienti dall’ambiente possano indurre modificazioni nello sviluppo dell’organismo e avere un impatto di lungo termine sulla salute umana, tanto per l’organismo direttamente interessato, quanto per le generazioni successive.
La DOHaD ha quindi importanti implicazioni per le nostre società e per le politiche sanitarie globali e persino per il futuro “evolutivo” della nostra specie (Gluckman PD et al, 2004).
L’esposizione materno-fetale a diversi stressors epigenetici può contribuire a spiegare il continuo incremento di parti pre-termine, che determina un incremento del rischio di disturbi endocrino-metabolici, del neuro-sviluppo e di patologie renali, cardiovascolari e neoplastiche sia in età infantile, che adulta.
In uno studio recente esposizioni materne ed eventi stressogeni, associati a nascita pre-termine, sono stati dimostrati in grado di interferire con i livelli di metilazione di regioni del DNA soggette ad imprinting (Differentially Methylated Regions, DMR) (Vidal et al., 2015).
La relazione tra esposizione ambientale in gravidanza a metalli pesanti (sono stati studiati principalmente cadmio, piombo e mercurio) e conseguenze nel neonato, è ormai ben documentata (Vilahur et al., 2015, Wang et al., 2016). In particolare l’esposizione embrio-fetale a piombo, nota da decenni come causa di disordini del neuro-sviluppo, è stata associata ad un aumento dei livelli globali di metilazione e ad alterazione dei pattern di metilazione di specifiche DMR (Li et al., 2016).
Un numero sempre più consistente di studi sta mettendo in evidenza il ruolo centrale della placenta nella “riprogrammazione epigenetica” fetale, dimostrando il ruolo fondamentale di questo organo nel controllo dello sviluppo del feto e delle interazioni tra feto, microambiente uterino e ambiente esterno. La placenta è un’importante cabina di regia degli adattamenti molecolari epigenetici, in particolare per quanto concerne la metilazione dei geni imprinted che svolgono un ruolo cruciale nel controllo dello sviluppo fetale (Kundakovic et al., 2015).
Rispetto ai tessuti somatici le cellule della placenta possiedono un peculiare profilo epigenetico che, se alterato, potrebbe associarsi a vari problemi nel decorso della gravidanza (Monk, 2015). Sono ormai numerosi gli studi che associano un alterato profilo epigenetico placentare al continuo incremento di nascite pre-termine (Toure et al., 2017). Inoltre la placenta gioca un ruolo cruciale nel mediare il rapporto del feto con l’ambiente. Per esempio aumenti dei livelli dei metaboliti degli ftalati nelle urine materne sono stati associati negativamente alla metilazione del DNA placentare dei geni imprinted H19 e IGF2 (La Rocca et al., 2014).
Inoltre l’esposizione prenatale a metalli neurotossici (quali arsenico, cadmio ed altri) è associata ad un’aumentata metilazione del gene che codifica per il recettore dei glucorticoidi (NR3C1) in DNA estratto dalla placenta (Appleton et al., 2017). La placenta, non è quindi un testimone innocente: ci mette, per così dire, del suo per compensare, fino a configurarsi, secondo alcuni autori, come “l’epicentro dell’intero universo delle malattie croniche” (Thornburg KI, 2015).
Un altro target sensibile ad eventi stressogeni ambientali è il mitocondrio.
Infatti le cellule rispondono a vari stressors ambientali con stress ossidativo, infiammazione e cambiamenti nella produzione di energia. Ci sono diverse evidenze che particolari esposizioni ambientali sono in grado di modulare la metilazione del DNA mitocondriale (Xu et al., 2017; Linqing et al., 2016) che può anche subire modificazioni a livello placentare in relazione a variazioni ormonali materne (Janssen et al., 2017) e nel cordone ombelicale in seguito ad alterazioni della placenta (Novielli et al., 2017).
Da quanto detto fin qui appare evidente come il concetto chiave di fronte alla transizione epidemiologica in atto, non possa che essere quello di prevenzione primaria, intesa come l’insieme delle strategie mirate in particolare alla riduzione dell’esposizione a fattori di rischio durante la vita embrio-fetale e nella primissima infanzia.
Poiché l’epigenetica studia i cambiamenti ereditabili nell’espressione e programmazione dei geni che non modificano la sequenza del DNA, e la metabolomica i pattern metabolici a livello funzionale a partire dall’espressione genica fino alla sintesi proteica, appare evidente la potenzialità di un uso integrato di questi due approcci: a sia per migliorare il livello di conoscenza della relazione tra inquinamento ambientale, sviluppo embrio-fetale e possibili outcomes, che per definire un panel di bioindicatori di esposizione, rischio e danno necessari alla messa a punto di un sistema avanzato di sorveglianza ambiente-salute.
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